Dopo la conquista della Grecia anche i Romani impararono a curare il loro aspetto fisico ed assunsero, tra l'altro, i canoni estetici e le relative usanze del popolo vinto.
In un primo momento Roma emanò appositi editti contro la vendita degli unguenti: oggetti come pomate, profumi e belletti non potevano che apparire come emblemi della futilità e depravazione della mentalità e di un costume che ne aveva fatto articoli di lusso. Per la concreta e utilitaristica mentalità romana, questa merce che non si conservava e non si tesaurizzava ma svaniva nell'aria era l'emblema stesso della vanità, della perversione mentale che spingeva ad assegnare tanto pregio a tale mania nel vano. Non solo, risultava anche un simbolo di innaturalezza e di inganno:
Mettersi il rosso o truccarsi è colpa più lieve, lo ammetto, che dire ciò che non si pensa; ed è qualcosa di meno innocente del travestimento e della mascherata, in cui non ci si vuole affatto spacciare per quel che si sembra essere, ma si desidera solo nascondersi e farsi ignorare: è un cercare di ingannare gli occhi e un voler parere, nell'aspetto, ciò che non si è; una specie di bugia.
Le progressive conquiste ed il contatto con civiltà più raffinate, già vicine alla decadenza, ammaliarono i rozzi romani, lesti nell'imitare e superare i maestri. Così anche la Capitale si diede al godimento sfrenato di ogni piacere. Anche i Romani più conservatori arrivarono a concordare coi Greci nel ritenere che la soddisfazione del piacere fisico fosse indispensabile per mantenere l'ordine sociale.
Alle antiche usanze della vita di campagna faceva da contrasto il quadro luccicante delle delizie che facevano bella la vita delle fanciulle: vesti dorate, profumi e fogge ricercate, abbondanza di gioielli carichi di perle e pietre preziose. Si importarono unguenti, oli e profumi dell'Egitto, dalla Grecia e da Cartagine: nasceva così la prima era del consumismo.
Le ricche matrone, impegnate ad esibire quanti più gioielli possibile e a nascondere inutilmente l'incipiente vecchiaia, diventarono uno stereotipo destinato ad avere grande successo nel tempo.
Le cure del corpo delle matrone diventarono un vero tour de force. La notte rinvigorivano la pelle con maschere a base di lumache disseccate e balsamo emolliente. Al mattino, dopo aver tolto la maschera, ogni pelo superfluo veniva rimosso da viso, gambe e ascelle, un'abitudine derivata dalle donne orientali. Le romane usavano creme depilatorie a base di olio, resine, pece e sostanze caustiche.
Secondo Ovidio una donna innamorata doveva usare un fondotinta pallido perché
I denti, se ne rimanevano, erano profumati con il prezzemolo, le verruche e i brufoli sepolti sotto nei artificiali: una bizzarra civetteria generata da una sfrenata ricerca del sofisticato che, nel corso della storia, troverà riscontro, diversi secoli dopo, alla corte di Parigi e nei settecenteschi salotti veneziani, dove i nei verranno disinvoltamente utilizzati per saettare messaggi più o meno proibiti.
Anche la cura dell'acconciatura era molto sviluppata:
Per i romani rimase valido l'ideale di bellezza greco, ma i costumi cambiarono: le condizioni igieniche della capitale erano pessime e si cercava di nascondere la puzza con odori sempre più potenti saturando l'aria, inspessendo lo strato di cipria, sommando danno a danno.
All'epoca non si conosceva l'uso del sapone e tutti utilizzavano detergenti come la soda, la creta finissima e la farina di fave.
Il rituale di bellezza preferito dai romani erano sicuramente le terme:
Non venne abbandonato l'uso della cosmesi in campo religioso: gli dei necessitavano di appropriate toelette da compiere sui loro simulacri terreni e nonostante l'evoluzione dei costumi romani verso la depravazione, agli dei si conservavano sempre le cose migliori.
Le cure del corpo delle matrone diventarono un vero tour de force. La notte rinvigorivano la pelle con maschere a base di lumache disseccate e balsamo emolliente. Al mattino, dopo aver tolto la maschera, ogni pelo superfluo veniva rimosso da viso, gambe e ascelle, un'abitudine derivata dalle donne orientali. Le romane usavano creme depilatorie a base di olio, resine, pece e sostanze caustiche.
Secondo Ovidio una donna innamorata doveva usare un fondotinta pallido perché
è il solo che convenga quando il cuore è preso: bisogna che, vedendola, si sia tentati di esclamare "ella ama!"per questo in una giornata di sole era preferibile l'utilizzo del gesso per imbellettarsi.
I denti, se ne rimanevano, erano profumati con il prezzemolo, le verruche e i brufoli sepolti sotto nei artificiali: una bizzarra civetteria generata da una sfrenata ricerca del sofisticato che, nel corso della storia, troverà riscontro, diversi secoli dopo, alla corte di Parigi e nei settecenteschi salotti veneziani, dove i nei verranno disinvoltamente utilizzati per saettare messaggi più o meno proibiti.
Anche la cura dell'acconciatura era molto sviluppata:
Per i romani rimase valido l'ideale di bellezza greco, ma i costumi cambiarono: le condizioni igieniche della capitale erano pessime e si cercava di nascondere la puzza con odori sempre più potenti saturando l'aria, inspessendo lo strato di cipria, sommando danno a danno.
All'epoca non si conosceva l'uso del sapone e tutti utilizzavano detergenti come la soda, la creta finissima e la farina di fave.
Il rituale di bellezza preferito dai romani erano sicuramente le terme:
Non venne abbandonato l'uso della cosmesi in campo religioso: gli dei necessitavano di appropriate toelette da compiere sui loro simulacri terreni e nonostante l'evoluzione dei costumi romani verso la depravazione, agli dei si conservavano sempre le cose migliori.
Dioniso
Apollo
Zeus
Nessun commento:
Posta un commento