venerdì 13 settembre 2013

L'ideale greco-romano - 1 parte - Cosmetica&Cultura

Afrodite al bagno accovacciata

Di fronte all'Egitto risplendente di ori, avvolto da profumi esotici, la sobria sensibilità greco-romana rischia di apparire scialba, eppure nessuna civiltà ha sviluppato, né prima né poi, un ideale di bellezza tanto elevato. Per gli antichi greci la bellezza non risiedeva nei dettagli ma nell'armonia delle parti con il tutto. L'oggetto bello era un oggetto che, in virtù della sua forma, appagava i sensi. Ma non erano solo gli aspetti percepibili con i sensi ad esprimere la bellezza in senso classico: nel caso del corpo umano, infatti, assumevano un ruolo rilevante anche le qualità dell'anima e del carattere, percepite dall'occhio della mente, piuttosto che da quello del corpo. Per questo si esaltava non l'artificio ma la semplice verità, non ci si ricopriva di ricchi paramenti, ma si mostrava il corpo umano tale e quale.


Le proporzioni del corpo umano rispecchiano un ideale apollineo di misura e perfezione (vedi qui). Policleto, nel V secolo a.C. stabilì le norme per la rappresentazione di una bella statua: l'attacco delle gambe deve trovarsi a metà, il piede deve misurare un sesto dell'altezza, la testa un ottavo e il viso un decimo. Alle proporzioni realistiche delle diverse parti del corpo, facevano però da contraltare le dimensioni non propriamente veritiere degli organi sessuali maschili, giganteschi per i satiri, minuscoli per tutti gli altri. La dimensione del pene, in realtà, obbediva ad un codice che tendeva a minimizzare la componente animalesca delle statue, che dovevano rappresentare l'ideale di bellezza. Gli atleti erano i soggetti preferiti dagli scultori classici e diventarono anche modelli per la rappresentazione degli dei: nell'atleta, come nel dio, le qualità morali come l'autocontrollo, il coraggio, l'equilibrio interiore e la volontà concorrevano a farne la misura e il canone della perfezione.

Pugile

Apollo

Il rigore e l'elevata morale si fondevano con il gusto e la raffinatezza di una civiltà improntata sull'essere, ma che non disdegnava l'apparire. Pertanto i cosmetici da un lato erano guardati con sospetto e accusati di corrompere i costumi delle donne, peraltro prigioniere nel gineceo, dall'altro accompagnavano ogni manifestazione della vita quotidiana. Licurgo, legislatore di Sparta, arrivò a vietarne l'uso. Ma non si tratto di un rifiuto in toto dell'ornamento, quanto piuttosto della ricerca di una bellezza autentica, senza sfarzo e senza ostentazione. Tant'è che nella vicina Atene esistevano dei magistrati appositi che elevavano sanzioni contro le donne che si mostravano trascurate o in disordine.
Molte attenzioni venivano dedicate alla capigliatura sia in termini di brillantezza che di acconciatura e le donne non erano le uniche vanitose: nella virile Sparta, a 19 anni, dopo un lungo periodo di punizioni rituali, il cittadino diventava un vero soldato, si lasciava crescere i capelli e li abbelliva con fiori. Per le donne, invece, erano disponibili corsetti per snellire, cuscini per riempire, sandali con il tacco alto, busti con le stecche e persino seni finti.



Gioielli e specchio

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